Filosofia del Cinema

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L’ozio dello spettatore

In filosofia del cinema on 12 luglio 2014 at 07:52

dormire cinemaCinema chiuso per ferie?

Com’è ovvio, l’arrivo della stagione estiva porta con sé propositi di allentamento degli impegni. Un tale alleggerimento deve, tuttavia, fare i conti con una dinamica ben espressa da Montaigne nel Capitolo VIII dei suoi Saggi, significativamente intitolato Dell’ozio. Scrive il filosofo francese: «Recentemente, quando mi sono ritirato a casa mia, risoluto per quanto lo potessi a non occuparmi d’altro che di trascorrere in pace e appartato quel po’ di vita che mi resta, mi sembrava di non poter fare al mio spirito favore più grande che lasciarlo, nell’ozio più completo, conversare con se stesso e fermarsi e riposarsi in se medesimo: cosa che speravo potesse ormai fare più facilmente, divenuto col tempo più posato e più maturo. Ma trovo, che, al contrario, come un cavallo che rompe il freno, esso si procura cento volte più preoccupazioni da solo di quante se ne faceva per gli altri».

La “inevitabile inquietudine dello spirito” di cui parla Montaigne non va in vacanza come ci aspetteremmo ed anzi essa continua a rivolgersi, anche indipendentemente dalla nostra volontà, ad una miriadi di oggetti.

Il modo in cui si può concretamente realizzare la legittima aspirazione a “staccare un poco” non passa dunque per una dismissione del mettere a tema le cose, cifra dell’attività della coscienza, quanto dalla modificazione della modalità con cui la coscienza si rivolge alle cose. Si tratta di allentare la prensione sul dato intenzionato perché, liberato in parte lo sguardo della coscienza sulle cose, un orizzonte inedito possa venire ad abitare dentro quello sguardo.

Se nel resoconto di Montaigne l’azione della coscienza svuotava dall’interno l’aspirazione all’ozio, rendendo vana la voglia di starsene un po’ in pace, nella suggerita modifica dell’afferramento intenzionale viene delineandosi un percorso diverso. Esso, mentre consente di muovere dal visibile all’invisibile, permette una risemantizzazione dell’ozio che dunque diventa il luogo privilegiato per un recupero dei coefficienti inespressi delle cose.

È singolare che proprio ad una tale dinamica accennasse Ricciotto Canudo quando, reagendo allo scetticismo scientista, nello spiegare la meraviglia consentita dal cinematografo, spiegava che: «soltanto occhi esercitati dalla volontà di scoprire i segni invisibili o originari degli esseri e delle cose possono orientarsi in mezzo alla visione offuscata dell’anima mundi».

Il nucleo dell’esperienza filmica, l’essere proiettati in mezzo ai significati delle cose, è possibile nella misura in cui lo spettatore si rende disponibile all’incontro con una dimensione che non è visibile all’interno dell’ordinario corso delle cose, in quella corrente continua che intratteniamo con il mondo. Occorre, dunque, che lo spectator compia un passo indietro rispetto al contingente perché, liberato dal peso di uno sguardo convergente, possa includere nel suo orizzonte anche quell’altrove altrimenti inaccessibile.

Alla luce di questi riscontri e concludendo, il cinema può dirsi chiuso per ferie?

Se ci si concentra sull’esperienza filmica, la risposta è chiaramente negativa. Alla luce di quanto accennato in precedenza, si può dire anzi che con il tempo delle vacanze aumentino le possibilità di accedere a quella significazione specifica del cinema che aspetta il “tempo sospeso” dello spettatore ozioso per lasciar riemergere i suoi tesori nascosti.

 [Pubblicato sulla Rivista d’Autore di Apulia Film Commission]