Il Giardino di limoni del regista israeliano Eran Riklis, vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Berlino 2008, è basato su una storia vera il cui inizio è segnato dalla rottura di un equilibrio. La residenza scelta dal ministro della difesa israeliano Israel Navon confina con un giardino di limoni, coltivato da Salma Zidane, una giovane vedova palestinese. Per la donna, il giardino è non solo fonte di sostentamento, ma anche elemento che innesta la storia personale su una particolare porzione di terra. Tuttavia, anche le motivazioni di ordine spirituale non rivestono alcun interesse di fronte alla possibilità, paventata dalla sicurezza israeliana, che il giardino sia eventualmente utilizzato come base per un attacco terroristico. Per scongiurare una tale possibilità, viene ingiunto a Salma di tagliare gli alberi del suo giardino. Quale sarà la reazione di Salma? Quale la reazione del ministro e della moglie del ministro, Mira, di fronte alla resistenza di Salma? Come reagiranno le comunità arabe ed israeliana di fronte allo snodarsi di una vicenda che attraversa trasversalmente molti ambiti, da quello sociale a quello politico a quello più squisitamente attinente alla vita delle persone coinvolte? Così come per realizzare un film, il regista può scegliere tra una miriade di approcci specifici, allo stesso modo recensire un film può realizzarsi per il tramite di lenti differenti. Il Giardino di limoni è stato, in alcuni casi, assunto come emblema dello scontro tra due popoli; oppure, come paradigma dell’irriducibilità del confronto tra il genere femminile e la presunta modalità predatoria d’essere del genere maschile. Non si può dire che simili approcci siano errati, anche se è vero che esistono modalità di riferimento che, in un certo senso, vedono meglio. «La grandezza estetica – scriveva Baumgarten nel §217 dell’Aesthetica – richiede che i pensieri siano proporzionati e adeguati ai loro oggetti». Che cosa implica questa ‘proporzionalità’ tra oggetti e pensieri quand’essa sia riferita al film di cui stiamo parlando. Proviamo a cercare la risposta entrando nel film. Il film di Eran Riklis ruota intorno a quattro figure: la già citata Salma Zidane (interpretata da Hiam Abbass), la moglie del ministro Mira Navon (interpretata da Rona Lipaz-Michael), il ministro Israel Navon (Doron Tavory) e l’avvocato palestinese Abu Hussam (Tarik Kopty). Salma, la donna araba è avvicinata da Abu Hussam, un avvocato che sembra farsi carico della sua vicenda e con cui si stabilisce una timida intesa sentimentale. Ben presto, però, la donna si accorgerà di essere divenuta, suo malgrado, un emblema, icona inconsapevole di uno scontro politico. Mira, la moglie del ministro, riesce ad accorgersi del disagio di Salma. I suoi occhi cioè hanno ancora spazio per vedere. Gradualmente, la vicenda patìta da Salma entra a far parte della vita di Mira. Gli occhi di Salma diventano gli occhi di Mira. La donna ebrea rivela il coraggio di vivere non una disponibilità generica e parziale nei confronti dell’altro, ma di assumere la visione dell’altro. Mira inizia, con un nuovo sguardo, a guardare il mondo con gli occhi di Salma fino al punto di sentirsi estranea al mondo in cui era incardinata. Come definire, come rendere predicabile, questo particolare e tanto invisibile quanto pervasivo contatto tra le due donne, è la vera questione cui il film è dedicato. Il giardino di limoni di Riklis cioè ci parla proprio della possibilità che tra due esseri umani si stabilisca un’intesa, prescindendo dal radicamento all’interno di un confine, assunto come una separazione. Una particolare intesa, dicevamo. Quali sono le condizioni di possibilità di un tale accadimento? Éntasis, la radice greca del sostantivo intesa, significa ‘fatica, sforzo’. Contestualmente, in ogni intendere si coglie il dinamismo proprio di un tendere (tendere) verso (in). Quando ci si interroghi sulle condizioni di possibilità di un tale accadimento, si deve allora dire che l’intesa vera e propria si realizza a partire dalla rinuncia all’inamovibilità; quando si è disponibili non soltanto ad accogliere ed ascoltare l’altro, ma a vedere con i suoi occhi quanto di più caro abbiamo. Si può allora far ritorno alla domanda suggerita dalle parole di Baumgarten che riferivano di una consonanza tra oggetti e pensieri quale condizione della «grandezza estetica». È proprio la specificità dell’intesa tra le due donne a dirci che il modo migliore per riferire del film Il Giardino di limoni è quello che assume, sul piano formale, quanto sostenuto dal punto di vista narrativo ed espresso dal punto di vista filmico. Non allora una lettura che si radichi nello scontro politico tra arabi ed ebrei nè tanto meno una lettura che si radichi nello scontro di genere tra maschile e femminile. Entrambi gli approcci sono insufficienti proprio nella loro evidente incapacità di superare un radicamento dentro schemi precostituiti che le due donne sono invece in grado di superare. È ciò che lo stesso Baumgarten, nel §104 della stessa opera definiva «uno stile di pensiero naturale», ovvero un modo di pensare che sia «proporzionato alle forze naturali dell’anima che si propone di pensare e a quelle degli oggetti». L’intesa sconfinata tra le due donne si produce nel superamento di ogni precostituito confine. Saremo in grado non solo di attivare le appropriate categorie per interpretare il film, ma anche di far diventare prassi quanto suggerito in quella sconfinata intesa?
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