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L’insostenibile densità delle vicende umane: “La straniera” di Marco Turco

In filosofia del cinema on 11 ottobre 2010 at 07:51

Podcast | Cinefilab Episodio 44

Una prostituta incontra un architetto e questo incontro cambia le loro vite.

Se dovessimo ridurre all’osso la trama del film La straniera potremmo forse parlare proprio in questi termini e poco cambierebbe se aggiungessimo che entrambi i protagonisti sono stranieri.

Eppure, c’è qualcosa che non si lascia dire da questa voluta genericità, che le sfugge, si sottrae alle presa.

Il merito del film di Marco Turco è rinvenibile nella capacità raffinata di riuscire a rendere la densità di una vicenda che, vista nella giusta prospettiva, rivela una interessante profondità.

La vicenda di Anina e Naghib ci aiuta a fare i conti con la disposizione molto spesso automatica a far uso delle catalogazioni quando siamo di fronte alla realtà.

La complessità della realtà, il fatto che le cose siano più complesse rispetto ad ogni tentativo di facile lettura, richiede l’adozione di una particolare lente che ci consenta di passare rapidamente dal generale al particolare. Questo particolare approccio mostra la sua efficacia ancora di più quando ci si trovi di fronte a temi come il rapporto con le differenze.

In questi casi, infatti, si pensi al tema dell’immigrazione, è quasi immediato fare ricorso a ciò che pensiamo di sapere, in termini generali, dell’altro piuttosto che prendere il tempo necessario per ascoltare ciò che l’altro ha da dirci. Succede così che alla realtà si antepongano i luoghi comuni o gli stereotipi con l’effetto che, proprio mentre si crede di essere stati in grado di vedere il fenomeno, si perde di vista ciò che di essenziale quella realtà avrebbe potuto dirci.

Tuttavia, la difficoltà di vedere il particolare non può essere superata semplicemente affidandosi alla volontà. C’è, in realtà, qualcosa di più strutturale che passa per il nostro modo di conoscere. Hegel nelle pagine della Fenomenologia dello spirito scrive: «Essi opinano bensì questo pezzo di carta sul quale io scrivo o, meglio, ho scritto questo; ma ciò che opinano essi non lo pronunziano. Se realmente volessero dire questo pezzo di carta cui essi opinano, e se proprio lo volessero dire, ciò riuscirebbe impossibile, perché il questo sensibile, che viene opinato, è inattingibile al linguaggio che appartiene alla coscienza, a ciò che è in sé universale».

Dobbiamo in altre parole fare i conti con il dominio dell’universale cui non si sfugge facilmente, anche se – va detto – già la coscienza del problema costituisce un buon inizio per una corretta ricerca della dimensione personale.

Anina, la giovane donna marocchina protagonista del film, si trova nella situazione di dover lottare – ancor prima delle retate delle polizia – contro una rete di pregiudizi che nulla hanno a che vedere con la densità della sua vicenda. Ed è solo nella disponibilità, certo non immediata, di Naghib che Anina potrà sentirsi accolta.